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È lo stato d’animo di un uomo che ha assistito ad un reato, è stato complice di un’ ingiustizia.
Racconta il momento in cui la sua disperazione, i suoi sensi di colpa sono talmente forti da pensare al suicidio, ma tutto d’un tratto capisce che l’unico modo per redimersi e stare bene con se stesso, è denunciare il crimine a cui ha contribuito.
Carolina è il carnefice, ma è anche la società ,che in qualche modo riesce a mascherare le prepotenze, gli abusi, i torti, l’inaccettabile.
La società siamo noi con i nostri occhi saldamente chiusi a non voler vedere, perché ci conviene.
Cosi ci ritroviamo ad essere tutti un po’ Carolina, “carnefici”.
Sappiamo che in ogni angolo del nostro paese c’è del marcio ma non muoviamo un dito perché in fondo siamo vigliacchi, egoisti e tremendamente indifferenti.
A differenza dei profughi, costretti a scappare dalla loro terra, noi possiamo, per il momento, restare qua, lo vogliamo.
Il nostro è un fuggire interiore, la nostra musica è la chiave per aprire quella porta chiusa, è la nostra guerra contro le imposizioni, contro l'indifferenza,contro le barriere costruite da una società che ogni giorno che passa alza il muro, non ci fa guardare oltre.
La nostra musica è la speranza di un profugo.
Perchè in fin dei conti siamo un po tutti profughi, in cerca, per tutta la vita, della nostra terra felice.










