Similmente a quanto talvolta accade nella società contemporanea, dove il vicino di casa, la vecchia maestra od il barbiere di un individuo inaspettatamente famoso a causa di un'improvvisa attenzione dei media si sentono coraggiosamente accreditati a rilasciare interviste o proporre opinioni su argomenti dei quali sino alla sera precedente non avrebbe immaginato persino l'esistenza, la comunità locale, in ogni tempo, si scrolla di dosso i suoi imbarazzi e edifica la legittimità della sua orgogliosa unicità attraverso la consapevolezza, sapientemente indotta, di essere gruppo prescelto per la messa in opera del rito solenne. Sottovalutare l'importanza di questo elemento può rendere sterile o fuorviante l'analisi critica della scelta delle location per officiare i raduni.
Tanto le grandi messe seicentesche quanto i raduni oceanici politici o musicali del secolo scorso hanno potuto giovarsi di questa componente endogena spesso superficialmente identificata con arretratezza o provincialismo che pure, in senso lato, sono parte dei reagenti capaci di contribuire alla formazione di questo modello psico-sociale.
La comparsa degli officianti contribuisce così a liberare gli individui dal senso d'inferiorità prodotto dalla consapevolezza di essere "zona marginale della storia". L'avvento della star appare capace tanto di legittimare le aspirazioni di ribaltamento sociale locale quanto quelle di riposizionamento della periferia rispetto al centro. In definitiva, se queste valutazioni possono apparire opinabili, dinanzi al grande successo che i riti collettivi hanno sempre ottenuto nei grandi centri urbani, è solo perché si sottovaluta quanto le grandi città siano ininterrottamente e tenacemente composte da un insieme di microcosmi sociali alla disperata ricerca di un'identità locale capace di restituire personalità e visibilità ad interi gruppi di individui turbati dalla scarsa autorevolezza che la comunità complessiva è disposta a riconoscergli.
Ora, se tanto l'attesa quanto la messa in opera del rito richiama fuori del cono d'ombra la comunità ospitante, la fine della celebrazione, il "day after" del rito, la dipartita del leader, con i suoi officianti e le sue strutture, riduce la recente dignità della comunità a sentimento effimero. Il senso di abbandono e la conseguente perdita della centralità conquistata per un breve periodo concorrono ad evidenziare il peso dello stesso leader rispetto alla folla. Il ritorno al semplice precedente stato di "periferia" ed il modo manifesto con il quale gli officianti appaiono in grado di disperdere bruscamente l'attendibilità delle pretese del corpo sociale ospitante, svela ai partecipanti la forza portentosa del culto, contrapponendola alla frustrante inconsistenza dell'esistenza nella comunità quotidiana.
Questo elemento, cioè la capacità di generare una sorta di "sindrome del giorno dopo", risulta centrale ove si vogliano approfondire efficacemente le dinamiche che producono l'evoluzione della devozione nei fedeli nei periodi che seguono la celebrazione del rito. L'incidenza dei grandi concerti rock sulla vendita dei dischi, nelle settimane che seguono l'evento, non può essere disgiunta da questa osservazione, a meno di credere che la gran massa dei presenti ai raduni musicali prenda parte alle manifestazioni senza conoscere precedentemente le opere rappresentate o gli artisti e che, solo dopo averne apprezzata la qualità nel corso dello spettacolo, decida di acquistarne i prodotti.
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21
2012novembre