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Trovare una cosa discografica per una band emergente? Fatica Inutile.

Tutti le bugie e le leggende intorno al famigerato contratto con le case discografiche. Cosa deve fare oggi davvero un gruppo emergente per sfondare?



In 20 di musica e produzioni dedicati alla musica emergente si conoscono naturalmente centinaia, anzi migliaia di gruppi.
E da quello che si ascolta sembrerebbe che tutti, o quasi tutti, si dibattano nell’illusione che il loro obiettivo debba essere quello di firmare un accordo con una grande casa discografica.

20 anni fà, esisteva il mercato discografico basato sulla vendita e e sulla distribuzione fisica dei CD. Già allora le band vivevano nell’attesa messianica di un deal con una major discografica.

Il contratto rappresentava il punto di arrivo. Sembrava quasi chiudere il processo di crescita. Era come aver vinto al superenalotto. “Ho firmato un contratto con la Sony” (o con la Warner o con la Virgin ecc) suonava come una specie di viatico garantito verso la fama, la ricchezza e la Gloria.

La realtà era ben diversa ovviamente. Siglare un contratto era (ed è) solo il primo passo di una carriera. Spesso, anzi, era (ed è) il primo passo indietro.
Infatti concludere il benedetto contratto significa innanzitutto cedere parte della propria libertà ad una struttura che leggittimamente (almeno dal punto di vista legale) farà i propri interessi utilizzando l’attività del gruppo e non viceversa.

Solo per fare un esempio. Negli anni 90’ quando una grande casa discografica decideva che un gruppo rock poteva funzionare, scatenava I suoi scouter alla ricerca di tutte le band emergenti dello stesso tipo e stile (e/o potenzialmente migliori).

Una volta reperite, decine di potenziali band “competitors” venivano messe sotto contratto, promettendo a tutti gli incauti ed entusasiti musicisti un futuro roseo.

In realtà, si era già deciso di mettere I CD in magazzino e di bloccare contrattualmente le band in questione in modo che non fossero più disponibili sul mercato per altre case discografiche.

Insomma si produceva un gruppo e si “incarceravano” gli altri 20 per eliminare la concorrenza.

Oggi il mondo della produzione e della discografia è diverso. Non è venuto meno il tasso di cinismo. E’ semplicemente venuto meno tutto (ma proprio tutto) il potere che prima le Major esercitavano sul mercato.

Il CD non si vende piu nei negozi. Anzi non si vende più e basta. Tutta la catena fisica legata a registrazione-stampa-distribuzione-vendita che era controllata dalle case discografiche è scomparsa.
Sciolta come neve al sole. Ed insieme a questo si sono sciolte le casse delle case discografiche e la relativa disponibilità agli investimenti.

Oggi gli investimenti delle Major o delle etichette indipendenti nelle produzione di band rock indipendenti sono praticamente marginali. Ma c’è di più.

Una band emergente non ha nessun interesse a firmare un contratto. Quello che nel 2012 una label può fare per un gruppo è poco più o poco meno quello che il gruppo può fare per se stesso. Ma facendolo da soli non si dividono gli eventuali ricavi e, sopratutto, non si dividono le scelte e le decisioni.

Oggi registrare, distribuire e vendere sono azioni alla portata di tutti. Non servono grandissimi investimenti e si possono ottenere buoni risultati con un impegno davvero minimo. Ma è difficile, o quasi impossibile, creare grandi fortune con la vendita ed il download di brani e canzoni.

Quello che serve è suonare dal vivo. Gli esperti sono ormai tutti d’accordo.
Qui c’è il vero futuro della musica. Una band che non ha un attività live non ha un futuro. La costruzione di un pubblico, la gestione della band e tutte le attività connesse sono strettamente legate alla capacità di fare concerti con continuità e successo.

Continuità e successo. L’una senza l’altra non portano da nessuna parte.
Fare un concerto sold out ogni due anni è bello ma difficilmente è il trampolino di lancio per una band.
Ancora peggio sono I gruppi che moltiplicano ottusamente l’attività facendo 3 concerti a settimana pensando che il numero dei concerti significhi qualcosa.
Quando ai 3 concerti a settimana non viene nessuno farebbero meglio starsene chiusi in sala prove.
Una band ha bisogno dei SUOI fans.

Fare 100 concerti all’anno suonando sempre in situazioni dove il pubblico è presente per motivi esterni (festival, concerti come supporters, fiere e feste di piazza) può andare bene per un breve periodo. Ma se una band non ha creato un suo proprio gruppo di affezionato seguaci non avrà mai un futuro.

Insomma in conclusione:
Fan building è la parola chiave.
Live il futuro.
Le case discografiche il passato.

… E con queste tre semplici regole in mente.. just add talent.