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16
2007gennaio
Lo strambo e burlesco ska-rock degli ArEt da Berlino
Uno sguardo alla top-band del mese di Emergenza
Sempre molto complicato dare allo ska una confezione nuova o che preveda quantomeno un minimo di “scarto” in avanti: è infatti – al pari del reggae, cui avrebbe dato origine, come leggenda vuole, dopo una caldissima estate giamaicana che avrebbe spinto i musicisti a rallentarne il ritmo - un genere piuttosto rigido nelle sue strutture di base. Che gioca certo sulle variazioni - come no - ma quasi sempre su cambiamenti minimi, disimpegnati, insignificanti.
Insomma: spesso è più semplice limitarsi ad una piatta riproposizione dei medesimi pattern che sbattersi troppo per cercare del Nuovo. Per inciso: sta proprio qui il vero, grande cruccio e dilemma rispetto alle proposte di tante band, perfette nella forma quanto asfissianti nei contenuti. Comunque. Non siamo qui per discettare come grigi pappagalli di biblioteca di storia dei generi musicali. Proprio no. O almeno non oggi.
Gli ArEt da Berlino – la top-band del mese fra tutti i concerti di Emergenza nel mondo - riescono decisamente a procedere oltre lo ska, e certo definirli una ska-band, con tutto il rispetto per le ska-band strettamente intese, è piuttosto riduttivo.
Se infatti la sfiziosa marcetta “The Sea” viaggia su standard che rimangono più o meno nel recinto sonoro di cui sopra, con accelerazioni e frenate repentine e col classicissimo accento in levare sulla battuta – il famoso offbeat giamaicano -, il quartetto berlinese scaraventa con irriverenza dentro le proprie canzoni spruzzate funky raffinatissime (“The Legend of The Walking Boat”, l’inciso è davvero irresistibile) sposate peraltro ad un cantato semi-tenorile spassosissimo e spesso recitato. Che fa l’occhietto ad una certa attitudine burlesque piuttosto stuzzicante, soprattutto in questo contesto.
Non poteva mancare – ma è una tendenza ormai europea, questa – un risciacquo dei pezzi in un elementare impianto elettronico che fa molto molto 80’s e che tuttavia va a riempire così bene quegli interstizi ritmici che spesso strutture ska-rock lasciano sguarniti.
Scavando nelle produzioni precedenti l’ultimo disco omonimo “ArEt”, infatti, è già chiarissima questa salvifica attitudine “mescidatoria”, per così dire: “Dub Cactus” è una piccola gemma elettronica, trascinante, m’ha ipnotizzato tanto che il mouse è tornato sul play qualche decina di volte. “Chaque vie…” una ballatina ska sofficissima in francese. “Tv tree” una tiratina rock supportata – ma è un elemento imprescindibile e pressoché scontato, questo, per chi vuol fare ska dignitosamente – da una sezione fiati davvero perfetta. Che dimostra inoltre (senti “Lass uns feiern”) di sapersi muovere agevolmente anche su territori differenti come quelli della ballata rock classica.
Insomma, questo pazzoide quartetto berlinese non scriverà certo chissà quale innovativo capitolo nel “Sussidiario dell’Innovazione Stilistica Mondiale”. Ma, senza dubbio, si alza un gradino sopra la media – anzi, non esageriamo: si dà una spintarella verso l’alto, issandosi sulle punte - a giudicare da come riesce a lavorare su un genere ostico ed inflazionato. Ricoprendolo – se non del tutto abbandonandolo, quando è necessario e cioè molto spesso – di approcci differenti, sfruttati tutti con la stessa abilità compositiva, costellando i pezzi di chirurgiche trappole melodiche e dimostrando quindi di aver fatto con lo ska una scelta di campo. Ma anche e soprattutto di saper maneggiare tutti i pop tools a propria disposizione – dalle melodie alle incursioni elettroniche, dal cantato allo svecchiamento degli ska-patterns fino, come detto, al loro abbandono completo in virtù di un eclettismo florido e benedetto perché intelligente.
E finendo insomma col tirar fuori – incrociando tutti gli spunti – un power ska-pop gradevole e rigenerante come una fetta biscottata col miele la mattina dopo uno spietato rave che vi ha sfasciato i nervi.