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L'angolo del critico



1. CABIRIA Anno 1977, fine del prog, si volta pagina. Lasciamo da parte per un attimo il punk ed immergiamoci nell'humus della Vecchia Europa: quello delle ragazze cattive, Nina Hagen e Lene Lovich che imperversavano nei club tedeschi (e non solo) a colpi di trucco marcato ed urletti nervosi. Ebbene, i Cabiria ripartono esattamente da qui. Solo che il progressive lo indossano come il fiore all'occhiello di un sound che si ciba di goticismi dark e della dirompente teatralità di Franca Asnaghi, l'istrionica lead vocalist che riesce nell'impresa di tenere assieme quest'inedita alchimia. Bravi, particolari e coinvolgenti. 2. BAWDY FESTIVAL Oscure fiabe recitate su ruvidi hip hop grattati su chitarroni hardcore. Sono questi i tratti che meglio descrivono il clown core dei Bawdy Festival, fra una strizzatina d'occhio ai Sepultura e la centralità dell'elemento scenico. Già, perché i cinque francesi si presentano con cascate di cerone e coriandoli a pioggia, beffardamente a suggellare maschere epigone di The Joker. Batman e l'Arancia Meccanica (persino citata in un'intro), incubi divertiti e divertenti su marcette di tastiere e muri di saturazione: non ci toglieranno certo il sonno, ma l'intrattenimento, quello, è assicurato. 3. DEAR CATASTROHPE Pogate à go go per il dublinesi Dear Catastrophe, ma non solo. La loro proposta trascina a sé aperture melodiche corali ed altrettanto spigolosi cambi hard. E' il crossover a permearne il sound, e mai come in questi casi è l'energia on stage a fare la differenza. E i cinque giovanotti saltellanti pare che ne abbiano da vendere. Tanta è la carne al fuoco, e qualche citazione di troppo, persino un certo power pop incattivito di hardcore d'inizio anni 80, non inficia il risultato finale. Veloci e incazzati il giusto, come si conviene in questi casi. 4 LAMENT E’ rock melodico quello dei Lament, ma non per questo abdica dai sacri crismi dettati dal trittico batteria-chitarra-basso, qui contrappuntati da estesi tappeti di tastiere, come si conviene a una moderna pop band. Estesi quanto i vocalizzi di Sebastian Sollner che va a parare in lidi prossimi a Bono Vox e a Brian Molko con l’intento di confezionare la perfetta pop song radiofonica. Pur con qualche incertezza, specie vocale, per lo più dovuta all’ambiziosità degli obbiettivi da raggiungere, l’effetto rock arena è salvo. Come il nostro invito ai Lament a perseverare, giacché di margini per crescere e per maturare, in fin dei conti, ce ne sono. 5. CONCUBINE Colate di metallo su basi obliquamente funk. Possiamo dare quest’imprimatur alla musica dei Concubine che, muniti di un basso corposo e segnati da frequenti cambi di passo, portano il loro credibile tributo al metal di nuova generazione. A convincere è soprattutto il front man Remko Schreurs, la cui versatilità gli consente di confrontarsi tanto coi dettami più tradizionalmente rock che con quelli “gridati” e più estremi. Adrenalina e pathos assolutamente adeguati allo scopo, così come la presenza on-stage 6. HUMANO Non sembrano prendersi troppo sul serio gli iberici Humano, e soprattutto paiono divertirsi un sacco. Proposta di sicuro frizzante, ma che paga un tributo troppo alto a un certo pop rock di matrice britannica, sia esso quello dei Simple Minds, ma soprattutto quello degli U2. Tantopiù che il nostro vocalist, Jose Manuel Espigares H. non lesina nemmeno gli acclamati lanci vocali che hanno fatto di Bono uno dei cantanti più riconoscibili del pianeta. E nella medesima direzione vanno i landscape di chitarra, così pure gli incedere trasognati delle canzoni: l’eccesso di derivatività non depone a favore degli Humano, diciamolo. In questo contesto è però assai felice la scelta della lingua spagnola nei testi a dare un tocco di mediterraneo che spezza, almeno parzialmente, gli stretti vincoli creativi di cui si è detto. 7. KID AT THE BACK Power trio classico quello dei Kid At The Back, e senza fare sconti, non arretrando cioè di un passo