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Il venerdì di Emergenza Music Contest a Torino

Hiroshima mon amour per la quarta eliminatoria del contest internazionale



Il venerdì dell'Hiroshima mon amour nella sala Modotti è ormai targata Emergenza Festival. Continuano le selezioni con la continua curiosità di capire cosa ci offrirà la città della Mole quest'anno dopo i talenti scoperti nelle scorse stagioni.


Iniziamo la quarta eliminatoria di Emergenza Festival per la città di Torino con un cantautore, Marco Esse, accompagnato dalla sua numerosa band. Sono infatti formati da batteria, basso, chitarra elettrica, tastiere, sax e 2 coristi. E’ un buon pop in italiano, scritto bene ed arrangiato anche meglio, stilisticamente vario, ma sempre coerente. I brani ci piacciono, sono orecchiabili e freschi, ma serve ancora un po’ di lavoro dal punto di vista vocale. Con un po’ di studio in più il risultato può essere sicuramente migliore.


Cambiamo genere, set, attitudine ed età con i C-Key, crew che arriva dal mondo dell’hip-hop. I brani sono ben scritti e anche il flow è interessante, riescono a scandire le parole dei loro brani in modo da farne capire il significato, dote che non è così comune come si possa pensare nei rapper emergenti. Hanno bisogno assolutamente di un po’ di esperienza live, sia nella gestione delle tempistiche di concerto che nel coinvolgere il pubblico che comunque è piuttosto appassionato al progetto, anzi alcuni brani vengono anche cantati dal pubblico. Siamo sicuri che con più sicurezza sul palco il live renderebbe davvero di più.


Con il terzo live della serata entriamo nel mondo dell’hard rock grazie ai Lost Season. Il frontman sa come tenere il palco e ad intrattenere un pubblico piuttosto numeroso che ascolta attento sotto al palco. Il look è tipico del genere, punta sul nero e sul rosso. E' suonato tutto piuttosto bene, ma manca il guizzo e la riconoscibilità di un progetto che se non ha una nota distintiva rischia di essere disperso all'interno di un genere decisamente inflazionato da un punto di vista musicale. Attenzione all'accordatura delle chitarre e a dedicare lo studio appropriato perché sia tutto più preciso. Sono proprio i particolari che fanno la differenza.


Come recita il nome del progetto, ora è il turno di 2 fratelli che si suddividono tra chitarre acustiche, voci, armoniche e stomp box. Hanno un colpo d'occhio incredibile con un look estremamente coerente con il loro genere country e coordinato tra loro, senza dover sembrare le gemelle Olsen. Inizia il concerto con splendida attitudine, un pezzo con 2 armoniche con un tiro come se fosse suonato dai grooveman più neri del mondo. Poi però non rimangono al pari delle nostre aspettative. Sono bravi musicisti, hanno un progetto che funziona e dei brani scritti bene, ma in definitiva manca quel qualcosa in più che ci può spingere ad un amore incondizionato. Non coinvolgono fino in fondo e lo diciamo con rammarico, perché in sala diverse persone che non li conoscono si sono fermati ad ascoltarli con attenzione, non tutti ne sono stati rapiti. Siamo abbastanza certi che possa essere un caso, perché, attenzione, questa critica viene mossa proprio perché comprendiamo appieno il loro potenziale, ma per ora abbiamo assistito ai preliminari, ci sarebbe piaciuto arrivare al sodo ;-)


Inizio atmosferico per i Lussac con una lunga parte strumentale ai confini della psichedelia. E’ un ottimo inizio coinvolgente che butta già il pubblico nel mondo onirico. L’idea è davvero buona, il sound è incastrato in mondo interessante, in un miscuglio di post rock musicale con una voce che talvolta sembra presa in prestito dal mondo più dark della new wave. Il connubio ci piace, ma come un buon matrimonio è necessario andare d'accordo, quindi attenzione al tempo e ad essere sempre perfettamente insieme o il risultato finale ne risente. Ci teniamo però a fare un appunto personale sul premio morale "miglior pubblico" che i fan dei Lussac si portano a casa a mani basse con un'interazione durante il concerto e un attaccamento alla band che ci colpisce fin da subito.


E' ora il momento di una band che ha creato un bellissimo spettacolo sul palco, lasciandosi andare e godendosi il momento. Anche solo dalle foto si può percepire la loro musica. Complice di tutto questo è anche un pubblico presente e partecipe che viene coinvolto magistralmente dalla band facendolo anche muovere a tempo con la loro musica. I Days of fury fanno rock, sono caratterizzati da buona attitudine e una sanissima dose di entusiasmo. Attenzione alla precisione e al sound d'insieme, il risultato migliore lo si ottiene quando non si capisce più chi suona cosa, ma dal palco arriva un enorme schiaffo in faccia che ti stordisce e quando finisce ancora non ci hai capito poi molto. Al lavoro perché la semifinale vi aspetta!


Ultimo live della serata e il progetto che stiamo per ascoltare ha una formazione diversa rispetto a ciò che abbiamo visto fino ad ora. Loro iniziano con 2 chitarre elettriche, basso e batteria in sequenza. L'idea in realtà è figa, ma sono da rivedere i suoni di batteria scelti che non hanno il tiro dovuto, rispetto soprattutto ad una batteria dal vivo, aspetto che non è mai da sottovalutare quando si è live. Il concerto prosegue con un brano alla chitarra classica e un brano in cui c'è ospite un rapper. E questo, nonostante la realizzazione che è stata insicura, ma apprezzata perché molto sincera e naturale, è stato il brano che ci ha convinto di più, fuori dagli schemi, con carattere e personalità. C'è da studiare, ma quando le idee non mancano metà del lavoro è già fatto!