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Ultimo aggiornamento:

10 dicembre 2010

noclosure
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Sarebbe opportuno non dire, o magari far finta di nulla. Voltare lo sguardo, andarsene via. Comodo, forse. Ma c’è ancora chi l’istinto di reagire non lo vuole abbandonare. Ed quel che i No Closure sussurrano o gridano, bisbigliano o sbraitano a seconda del momento, sempre vicini a quel punto di rottura (irraggiungibile). La loro è magia da sirene; il loro è il richiamo dell’isola avvolta nella nebbia che rende mistico e quanto mai evocativo il sound di questo gruppo romano di nuova concezione. E’ la rabbia di chi non ce la fa più, è quel lato oscuro al quale si resta appena aggrappati, magari con una mano sola, per non cadere giù in fondo al baratro. Metafore che la band racconta ad ogni strofa. Il loro è sangue che scivola piano, è una lacrima conservata in una scatoletta di metallo. Malinconia rinchiusa nel ferro, ecco. Un cocktail dato dai suoni polimorfi ed elettrici, dal distorto che vibra dentro, ma anche dalle precise stoccate di fioretto che spesso le due chitarre si danno nel loro duello armonico senza un vincitore. I bassi pulsanti come un cuore che non può smettere di battere; le percussioni veloci, quasi violente, adatte ad accompagnare un mondo in continuo movimento. E soprattutto la voce di una regina un po’ dark dal sorriso ammaliante, abile a tenere la scena. Ecco i No Clouse con quell’eco ai Seventies più hard, dagli Zeppelin ai Deep Purple, fiumi sacri a cui attingere gocce per nuove idee innovative. Ma anche un attento sguardo al blues, un pizzico di post-punk, l’art-rock scelto e ricercato. Perché l’idea dei cinque giovani componenti del gruppo è proprio quella di spalancare le porte sbarrate dall‘interno, per mostrare stanze non sempre arredate bene. La musica dei No Closure tende all’infinito di un rock alternativo e mai banale, con le pause pronte ad incalzare un ritmo ancor più veloce, con un che di psichedelia nuova, raggiante, intrigante. Musica che sboccia dall’underground della scena capitolina.
mauro larocca    10 dicembre 2010 08:48